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La invidiabile poliedricità del Berti


Sarà questa sua capacità a fare un po’ di tutto a rendere interessante la sua persona.Come un Octopus attraverso i suoi 8 tentacoli: con una mano suona; con l’altra prepara un bel pranzetto; si fa la barba e pubblica un articolo sul settimino di ocarine; parla con noi al telefono e ci racconta la sua e altre mille storie.

Spiega il suo lavoro come Tacabanda, il suonatore girovago che suona la chitarra canta e con l’armonica a bocca fa gli assoli, e con i piedi che battono il tempo sul grande tamburo che porta sulla schiena. E nel mentre ci consiglia: “l’importante è saper unire tutto; riuscire ad armonizzare tutti i propri interessi e conoscenze”, mentre parla con noi scaccia una vespa e si prepara a uscire per andare a suonare per strada.


È un po’ difficile, pensiamo noi, allestire tutto questo nella nostra testa, viste le mille cose che Federico ha già fatto fino ad oggi; e esibirsi in seguito con tutte le tessere del puzzle ben incastrate per riproporlo al suo pubblico, Federico Berti lo fa ogni giorno!


In realtà lui spiega che non è una cosa poi tanto eccezionale, i saltimbanchi di una volta lo facevano normalmente e alcuni di loro non sapevano nemmeno leggere o scrivere. E’ l’arte della memoria che ti permette di fare questo, le ruote che girano. Federico Berti insegna tra l’altro quest’arte, anche in DAD visti i tempi.


Nato nel 74, figlio degli anni 80. Il padre: cantante, liutaio linguista e radioamatore, suonava al folkstudio e accompagnò tra le altre cose la cantante Kay McCarthy. Il nonno falegname di scena, collaboratore con grandi nomi: Anna Magnani, Luca Ronconi Renato Rascel, Paolo Stoppa e altri del teatro novecentesco.


Laureato al DAMS. Prova interesse nella narrazione in tutte le sue forme, che è anche il tema del suo ultimo libro: “Le vie delle fiabe”. Partendo dalla più famosa citazione di Italo Calvino:




A cavallo degli anni 80-90, anni strani, dato che la proposta ‘aziendale’ non rientrava nelle sue corde provò a partire dal basso e intraprendere la strada


Per fare strada bisogna... Fare la strada!


dice scherzando, ovviamente per fare qualsiasi mestiere bisogna prima fare esperienza. Non a caso, al contrario dalla comune percezione dell’artista girovago da parte dei più, fare strada è (anche, per alcuni) un lavoro, ne approfondisce in modo accurato tutti gli aspetti nel suo libro “Gli artisti di strada non sono mendicanti”,

giunto alla quarta edizione.


Come tanti prima di lui nel teatro di ricerca cita Eugenio Barba, Cuticchio e Ascanio Celestini, con il quale ai tempi ha collaborato: “Anche se non pratico solo il teatro di strada, mi piace lasciarmi una finestra aperta sul cappello. All’inizio è stata anche una misura per sapere quanto dovevo chiedere come compenso per il mio lavoro. Se un privato mi dava meno, rinunciavo quando con il cappello guadagnavo di più.



Quali cambiamenti ha dovuto affrontare per te l’arte di strada negli ultimi decenni?


Per me l’arte di strada si dovrebbe distinguere dallo spettacolo viaggiante, cosa che non sempre avviene anzi, molto spesso viene confusa. Ha subito una trasformazione in parte positiva e in parte negativa negli ultimi 10 anni. Ultimamente ci guardiamo un po’ storti uno coll’altro, anche a livello di relazioni umane è diventato terribile. L’aspetto positivo è che c’è una maggiore consapevolezza rispetto a questo ruolo. Il livello tecnico è talvolta altissimo, ma prima forse si faceva più ricerca anche a rischio di venir fuori con delle proposte ‘impopolari’, c’era una diversa predisposizione a imparare e a fare meglio accettando anche un fallimento come parte del

gioco. Oggi si vuole andare un po’ troppo sul sicuro”.


C’è tanti bravi chitarristi e musicisti oggi, tanto più da ascoltare e di più da pensare, ma le proposte si somigliano sempre più una coll’altra, il repertorio è molto ‘easy’. L’aspetto negativo nel tempo è stata la normalizzazione e l’istituzionalizzazione, lo sfruttamento pieno dell’arte in un senso banalmente commerciale. Il modello delle postazioni imposte, che poi rimanda al concetto di festival, dove migliaia di fratelli e sorelle del cappello in tutta Italia vanno a suonare e si iscrivono a delle piattaforme. Tutto, tutti troppo ammassati uno sull’altro che si fanno concorrenza con orari prestabiliti. Perde il valore che dai alla cosa, c’è del gran snobbismo e narcisismo a mio

parere.”

Io ad esempio quando vado per strada ‘a cappello’ mi fermo 5/10 minuti in uno stesso posto, non di più! Pensa a Roma alcuni artisti avevano proposto un regolamento che stabiliva la distanza

minima tra gli artisti a... 20 metri! Te la dice lunga sull’atteggiamento da parte nostra, prima che della legge.

Si è persa completamente la concezione di musica itinerante.


Federico Berti comunque lo spiega con parole sue più che ottimamente nei suoi video, nel canale youtube e soprattutto nel suo libro “Gli artisti di strada non sono mendicanti”,

che si trova su IBS e in tutti gli altri stores online.


La strada e il web.


Cosa ne pensi dell’autopromozione di questi tempi dove tutti devono fare tutto da soli, oltre che le proprie esibizioni, trovarsi gli ingaggi, le tutele del proprio materiale, la sua distribuzione, la pubblicità?


La miglior promozione è un lavoro ben fatto, il video non è che una molecola di un prodotto editoriale più ampio che poi viene approfondito, riveduto e pubblicato in forma definitiva anche dopo diversi anni: il libro dedicato all’arte di strada è nato ad esempio da una serie di articoli che poi ho ampliato e corretto anche grazie al contributo di tante sorelle e fratelli, alcuni dei quali purtroppo non sono più qui”.


Usare la rete alla Montemagno (con tutto il rispetto) non porta da nessuna parte o meglio, va bene se devi vendere prodotti in affiliazione ma penso che non sia questo l’obiettivo di un artista di strada. O sbaglio?


“Quanto alla produzione ‘virale’ sfatiamo anche questo mito, non esiste nella realtà: non è la tua promozione o la qualità intrinseca a far diventare virale un video, viene semplicemente messo in delle playlist da una macchina che usa degli algoritmi e fa tutto in automatico. Ogni tanto scopro un altro dei miei contenuti che diventa virale e finisco addirittura per toglierlo, perché non mi piace farmi rappresentare dalle produzioni minori.“


“Usare internet solo per la promozione non ha molto senso, però d’altra parte non si può neanche ignorare il fatto che esista una rete. Dobbiamo sporcarci le mani con questa realtà e scendere negli inferi del nulla che avanza. Come Orfeo che va a pescare Euridice noi dobbiamo andare a ripescare il pubblico della strada là dentro, dove ha inspiegabilmente scelto di isolarsi. La

rete negli ultimi anni ha influenzato l’arte, la politica dando spazio agli imbecilli come diceva Umberto Eco, opinionisti da click-bait, negazionisti ad esempio, sono un problema con il

quale dobbiamo confrontarci. “


“La rete però non è sempre negativa, o meglio quand’è nata per noi degli anni ‘90 ha aperto anche prospettive d’innovazione. Oggi ti da la possibilità di fare cose che in strada non avresti il tempo ne la capacità di approfondire: i miei sonetti romaneschi per dirne una, le canzoni da ascolto, i quartetti di musica da camera che scrivo, la musica per organo, non puoi traslocarti la sala studio in piazza”.


“Poi la disattenzione e la superficialità, di ricerca e approfondimenti su questo e quello i passanti ne vogliono mezza. Quando vengono a trovarmi nel caffè letterario (il sito web) trovano tutto quello che non sono riuscito a esprimere per strada, allora qualcuno viene a scoprire quella parte della montagna che non affiora in superficie, e dove l’interessato può approfondire tutto quello che sto facendo, partecipando all’elaborazione delle cose nuove”.


Prossime Fermate?


“Da qualche anno promuovo il repertorio di una casa editrice: Italvox Edizioni Musicali, fondate

nel 1951 dal cantastorie Piazza Marino. Rielaboro e propongo vecchi successi dell’etichetta per vari organici strumentali, anche classici o cameristici, e produco nuovi artisti. Vorrei che la casa

discografica diventasse un punto di riferimento per gli artisti di strada, suonando uno i pezzi dell’altro i nostri borderò non finirebbero tutti in tasca alle majors”


Foto di Federico “Tacabanda”

Descrizione: Federico Berti, one man band italiano.


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